Associazione Casa della Resistenza

Parco della Memoria e della Pace

 

Ma voi che ne sapete dell’amore? [...] della passione che il mondo consuma?” Con questo incipit il lettore è invitato al racconto di un amore struggente e tumultuoso, nato nella terra di Bosnia, “la terra dei lunghi amori e dei lunghi rancori”; una storia, questa, di amore e di morte e che, affidata alla potenza della narrazione orale, ha attraversato le città e le nazioni sino a giungere a Paolo Rumiz, che decide di metterla per iscritto e sceglie la forma dell’endecasillabo.

“La cotogna di Istanbul. Ballata per tre uomini e una donna” è un bellissimo libro dove si snoda un lungo, magico e dolorante poema di paesaggi, donne, passioni, strade, città, morte. Protagonisti di questo romanzo in versi, sono Max, un ingegnere austriaco, e Maša Dizdarević una donna bosniaca, austera e bellissima, con un passato intriso dalla storia del suo Paese. In una notte invernale a Sarajevo, Maša “viso da tartara, femori lunghi e occhi come grani di uva nera” canta a Max  “Žute dunje”, la gialla cotogna di Istanbul, e sulle note di questa malinconica sevdalinka, che narra di due giovani amanti e di un destino a loro avverso, scaturisce un legame profondo e indissolubile. “Cantò nella sua lingua la struggente / tristezza dei distacchi che i balcanici / adorano ogni tanto condividere / con chi accetta di bere assieme a loro. / C'era un lamento, spesso ripetuto, / nella canzone, ed era lo stesso / che lui aveva sentito anni prima / sotto le muraglie di Diyarbakir...”.

Rumiz non solo incanta ma riesce a far innamorare il lettore di tutti quei luoghi che fanno da sfondo alla narrazione: i Balcani, terra devastata dagli orrori della guerra, Vienna, il fiume Danubio e infine Sarajevo, città che contiene tutte le altre: Trieste, Atene, Istanbul. Il suo linguaggio, ricercato ed elegante, descrive sapientemente non solo i luoghi ma anche le tradizioni, i riti, gli odori e i profumi di quel pezzo di Europa nato dall’incontro tra Oriente e Occidente. Nella bella Dizdarević si racchiude il mistero di quei luoghi (“Disse Maša: 'Ancora qui si celebra / la vittoria del luogo sulle stirpi.”); con lei arriva il racconto della forza di un amore inamovibile, ampio, tremendamente calato nella cruda realtà, ma puro e ancestrale. Tra i luoghi emerge potente l’immagine di Sarajevo, serraglio per carovane, “femmina inerme in mezzo a maschi assetati di stupro”. E’ lì lo zenit in cui si incontrano Masa e Max, alla fine del confitto. Max ne rimane stregato. Basterà una cena, un timballo di carne, l'aroma del caffè. Basterà quell' “impasto balcanico fatto di sangue e miele” per accendere la fantasia dell'uomo, che con la mente ora comincia a scavalcare secoli e montagne. Il resto lo farà una bottiglia di vodka gelata e Masa che canta per lui con cuore ardente la canzone della cotogna d'Istanbul, in cui si parla di una coppia d'amanti in lotta contro un destino avverso e contro la malattia della donna, la cui cura viene affidata proprio a quel miracoloso frutto giallo (“nasconde in sé anche il fiore”), che però arriverà troppo tardi. La scrittura di Rumiz ha questo di grandioso: che non è solo scrittura, non solo lettera, ma soprattutto voce, parola. E per fortuna, altrimenti dovremmo associarci al compianto di Max: “Che povero mondo è questo che ha perso / il gusto delle storie da ascoltare.

 

Paolo Rumiz, La cotogna di Istanbul. Ballata per tre uomini e una donna, Milano, Feltrinelli, 2010

 

 Consigliato da Marco Travaglini