Il romanzo nasce dalla diretta esperienza dell’autrice vissuta tra i partigiani delle valli di Comacchio.
“L’Agnese va a morire” è un romanzo pubblicato nel 1949, anno in cui ha vinto il Premio Viareggio.
Perché rileggerlo oggi? Il motivo principale è che voglio iniziare questa rubrica con un’opera riferita alla lotta partigiana, scritta da una donna e dedicata ad una donna, per ricordare, in occasione del 25 Aprile di quest’anno, tutte le donne partigiane. Rileggere questo romanzo è molto importante per riflettere ancora una volta sull’importanza che esse hanno avuto nella lotta contro il nazifascismo.
Agnese è una donna anziana, semplice e umile, che vive con il marito Palita. Quest’ultimo, essendo stato ammalato da giovane di tubercolosi, non può fare lavori pesanti e sta in casa a fabbricare scope e panieri e a impagliare fiaschi. Palita aiuta i partigiani, che lo vanno a trovare e organizzano i loro movimenti tra una partita di carte e un bicchiere di vino. Agnese non ascolta mai le loro discussioni e non sa che il marito fa parte del movimento clandestino. La storia prende il via da un atto di generosità di Agnese nei confronti di un soldato, che, convinto della fine della guerra, tenta di tornare a casa; ha camminato tanto, è stanco, ha fame e la donna lo ospita per permettergli di riposare un po’.
Siamo in quei terribili giorni dopo l’8 settembre, quando l’esercito italiano non capisce più da che parte stare e cosa fare. Gli Anglo-Americani impiegheranno parecchi mesi prima di arrivare nel Nord dell’Italia e i nazisti continueranno la guerra contro i loro ex alleati, mentre i fascisti con la repubblica di Salò, daranno man forte ai nazisti. Tutte le valli del Piemonte, della Lombardia, dell’Emilia Romagna accoglieranno coloro che, stanchi della dittatura e della guerra, si riuniranno nei vari gruppi partigiani, dando vita alla Resistenza.
In seguito all’arresto e alla successiva morte del marito, Agnese si ritrova, quasi senza rendersene conto, tra le fila dei partigiani, prima perché costretta a fuggire dalla sua casa, dopo aver ucciso un tedesco, poi perché diventa indispensabile al gruppo che opera nelle valli di Comacchio. “Mamma Agnese”, stanca e ammalata continuerà fino alla fine a prodigarsi per i suoi ragazzi con grande modestia
“Se sarò buona…” con queste parole rispondeva agli ordini del comandante e andava in bicicletta o a piedi dove c’era bisogno di lei. Aveva paura di non fare abbastanza, di non capire bene gli ordini, di sbagliare a danno degli altri. La sua figura tozza e malandata non destava alcun sospetto nei tedeschi, fino a quando i suoi occhi non incontrarono quelli di Kurt…
Questo romanzo, scritto da una donna che prese parte attiva alla Resistenza a fianco del marito, racconta giorno per giorno e mese dopo mese, la cronaca della lotta per la Liberazione nelle valli di Comacchio: le fughe, le fucilazioni, i tradimenti, le sconfitte, le vittorie, ma anche i piccoli gesti quotidiani: un bacio dato per dire grazie, uno sguardo di gratitudine, un amore mai finito, un ricordo, un sogno…
Le descrizioni del paesaggio, della campagna, degli acquitrini, permettono di “vedere” come in un film, la storia e i personaggi che in essa si muovono.
L’ Agnese va a morire, uno dei primi libri sulla Resistenza, forse non è stato valutato abbastanza e io credo che, a distanza di 70 anni valga la pena di rileggerlo.
Consigliato da Gemma Lucchesi
Renata Viganò, L'Agnese va a morire, Torino, Einaudi, 1949 (ultima ristampa 2014)