Associazione Casa della Resistenza

Parco della Memoria e della Pace

 

 

L’immediato dopoguerra ha portato con sé, insieme al desiderio di pace e di normalità, una grande voglia di raccontare, una democrazia della parola che si è accartocciata di fronte al brusco mutamento del clima politico e al cadere delle prime speranze.

Sono veramente vari i percorsi e i momenti della narrazione resistenziale. L’immediato dopoguerra ha portato con sé, insieme al desiderio di pace e di normalità, una grande voglia di raccontare, una democrazia della parola che si è accartocciata di fronte al brusco mutamento del clima politico e al cadere delle prime speranze. Poi, nella narrativa “alta”, si è andato definendo una sorta di canone i cui rami portanti sono Fenoglio, Calvino, Vittorini e la Viganò. Infine, ci sono le narrazioni “tardive” come quella di Franco Pastore, meditata e sapida come un frutto d’autunno.

Il libro, infatti ha una lenta maturazione che va dal 2001 al 2015, quando esce la prima stampa, ormai introvabile, che il Babi editore di Borgomanero ripropone con una veste rinnovata, corredata di biografia, immagini e di un essenziale apparato critico. Le pagine di Pastore, operaio e giovanissimo partigiano, sono una sorpresa per la loro immediatezza e semplicità che rivelano una sottile vena di affabulatore. Fioriscono così i nove racconti del libro, un numero “perfetto”: Storia di una vera amicizia, L’irascibile vecchietta, Gli scarponi dai lacci di cuoio, La speranza ricomincia all’alba, Il giorno dell’agguato, Il custode, Una domenica di fuoco, I giorni della tregua, Ricordi della corsia.

Con una vivacità, di fronte alla quale trascolora come le foglie la barriera del tempo, scorrono i personaggi di un piccolo mondo antico, dall’amico Bartolo, uno dei ragazzi della “Porta di sotto” ucciso nella battaglia di Megolo, all’arcigna e terribile vecchietta di Boleto, dal vecchio Spartaco, che se la ride delle pallottole che fischiano sopra il sacco di pane che traporta per «i suoi ragazzi», ai feroci mongoli, che suscitano nell’immaginario le cavalcate delle orde di Gengis Khan. Gli avvenimenti si succedono in un continuo andirivieni da Borgomanero a Boleto, da Arola a Valduggia e Campello, da Pettenasco, ad Ameno e al Mottarone, giù nella pianura da Mezzomerico e Suno ai cascinali della Bassa, a Novara, fino al vicino Varesotto e all’Alto milanese: chilometri e chilometri macinati ogni giorno quasi tutti a piedi al fruscio degli scarponi dai lacci di cuoio. Tuttavia, in questi ricordi del partigiano “Bandolero”, squadra guastatori della 6a brigata garibaldina intitolata a Nello Olivieri, sarebbe vano ricercare i tratti della comune narrativa di guerra. Infatti, la radice dominante è quella che Claudio Pavone definirebbe la «moralità della Resistenza» e che Pastore condensa in poche semplici parole di posata saggezza ma anche di grande amarezza: «Stavamo combattendo per la libertà. Quella vera, non quella libertà di cui oggi parecchi personaggi si riempiono la bocca.»

Franco Pastore muore nella sua Borgomanero il 12 settembre 2020.

 

Consigliato da Angelo Vecchi

 

Franco Pastore, Racconti e testimonianze partigiane, Borgomanero, Il Babi Editore, 2021