Nel 2004, il governo italiano fece apporre una targa “apolitica” sul sepolcro di Piero Gobetti priva di qualsiasi riferimento alle cause della sua morte e al valore morale della sua opposizione antifascista. La cancellazione della memoria si avvale anche di gesti furtivi e miserabili, indegni di un paese schietto e civile. Per questo motivo, acquista ancora più rilievo l’ultimo libro di Bruno Quaranta, Le nevi di Gobetti.
Il volume si divide in due parti. Nella prima, il giornalista torinese ricostruisce il percorso della vettura che, in un nevoso mercoledì 3 febbraio 1926, condusse Piero Gobetti dalla casa di via Antonio Fabro alla stazione di Porta Nuova alla ricerca di libertà e salvezza al di là delle Alpi. Le strade, il selciato e gli edifici di Torino rispondono ai suoni incerti e agli echi di una memoria amica. I luoghi acquistano valore e identità associati alle persone care a Gobetti, da Ada al figlioletto Poussin, da Carlo Levi ad Antonio Gramsci, da Luigi Einaudi a Felice Casorati, da Luigi Salvatorelli a Francesco Ruffini, da Natalino Sapegno a Gaetano Salvemini. Attraverso un intreccio apparentemente casuale, nei contorni resi incerti dal cadere lento della neve, il viaggio di Gobetti scorre liberamente lungo l’asse temporale. Come nel tempo misto di Svevo, le testimonianze sul giovane incorruttibile vivono nel momento della rievocazione, in quello presente e in quello della memoria futura, alternando liberamente i ricordi e le riflessioni di chi lo ha conosciuto personalmente, gli è stato caro, amico o compagno di lotta e di chi, come per esempio Norberto Bobbio, lo ha conosciuto attraverso gli scritti e la nobiltà dell’eredità morale.
Questa sapienza nell’interrogare lo spazio induce addirittura a chiedersi se il protagonista del libro sia l’uomo oppure la città. Si tratta di un falso dilemma perché Gobetti racchiude in sé l’humus culturale, emotivo e psicologico di Torino, una capitale che ha dato generosamente, è stata più volte lacerata senza mai rivendicare con la forza dovuta il suo ruolo nella costruzione dell’identità etica, culturale e politica nella parte migliore di questo paese.
Nella seconda parte, Quaranta ricostruisce gli ultimi giorni di Gobetti, dall’arrivo in una gelida Parigi, attraverso il transito di Bardonecchia, correggendo l’imprecisa narrazione di Montale, fino alla morte. Una manciata di giorni fino alla notte tra il 15 e il 16 febbraio prima che il corpo di Piero venisse deposto tra i grandi, a poca distanza dal Muro dei federati del Père Lachaise.
L’andamento labirintico del viaggio di Gobetti si riflette nella scrittura di Quaranta, nella cura estrema alla precisione del fatto, alla documentazione rigorosa, all’acribia, doti di sapore gobettiano ma in grado anche – non sia azzardato il richiamo – di suscitare qualche lontana risonanza del Gramsci delle cronache culturali torinesi e delle pagine dei Quaderni.
Questo libro del critico letterario di Tuttolibri segue e in qualche modo arricchisce e completa la cura dell’edizione de Il malpensante di Arturo Carlo Jemolo (Aragno, 2011) e la prefazione a La pazienza della storia di Luigi Salvatorelli (Aragno, 2015).
Consigliato da Angelo Vecchi
Bruno Quaranta, Le nevi di Gobetti, Firenze, Passigli Editori, 2020