Il libro conferma che rimane ancora molto da scoprire nella storia della Resistenza. E quanto più si progredisce nella ricerca, tanto più s’intuisce l’enorme portata e la nobiltà della lotta di Liberazione. Edito da Pietro Macchione, sempre sensibile e aperto alle problematiche del territorio, il volume si avvale tra l’altro della collaborazione dell’ANPPIA nazionale e della sua Federazione varesina. L’autore, figlio del comandante della gloriosa 121a brigata garibaldina “Walter Marcobi”, con precisione anatomica ci presenta un quadro ampio, sicuramente il più esauriente fin qui prodotto, dell’antifascismo in questa provincia prealpina.
Il saggio si ricollega al precedente Antifascismo e Resistenza in provincia di Varese del 2017, di cui rappresenta un vitale ampliamento, e si avvale di un largo ventaglio di fonti d’archivio, tra cui le più recenti ammesse alla consultazione, giornalistiche, partigiane e delle carte della GNR, su cui nel 2018 Macchi aveva già pubblicato D’ordine del comando germanico. Dunque, un solido impianto documentario, una boccata d’ossigeno in questa epoca di ignoranza dilagante e di martellante e interessato stravolgimento dei fatti storici.
La validità dell’impostazione consente al lettore di cogliere l’insieme del movimento antifascista dallo squadrismo degli anni venti, alle persecuzioni dello stato fascista, dalle amare storie personali di confinati, carcerati, emigrati e fuoriusciti alle brigate internazionali di Spagna, primo momento del futuro riscatto. Per quanto riguarda il periodo della guerra, il lavoro spazia dal partigianato alle mille forme di partecipazione e sostegno alla lotta da parte dei civili, dalla deportazione all’internamento, dalla persecuzione razzista al contributo dei soldati del Corpo italiano di liberazione sia nel territorio di Varese e lombardo sia in altre regioni e sugli altri teatri europei del conflitto.
Il movimento partigiano varesino soffrì di una relativa «esiguità» per diverse ragioni. Varese, una piccola provincia nata per volere del dittatore, si trovò incuneata tra Milano e il baluardo partigiano compreso tra il Verbano e il Monte Rosa. I combattenti si trovarono di fronte uno straordinario concentramento di forze nazifasciste dovuto all’importanza strategica della zona: la presenza dell’industria bellica e del confine elvetico, potenziale via di fuga per criminali, sbandati e compromessi col regime. D’altra parte, non mancarono lacerazioni interne e rapporti complessi con la sponda piemontese dove operavano, per esempio, la Beltrami, dai forti legami con la brigata cattolica “Bruno Passerini”, e la garibaldina Servadei. Né bisogna dimenticare, per comprendere la forza di attrazione esercitata dal Piemonte, che, durante il feroce rastrellamento della Valgrande, le vittime varesine furono ben ventotto.
La Resistenza varesina superò gli ostacoli costruendo un granitico legame con la classe operaia, elemento determinante della vittoria durante l’insurrezione; compiendo azioni fulminee e leggendarie come liberazione dall’Ospedale di Circolo di Varese di quattro partigiani feriti e detenuti, tra cui il comandante Carlo Carabelli, il 16 settembre 1944; risollevandosi dalle più cupe avversità, come avvenne dopo l’Ottobre di sangue dello stesso anno, per preparare la bella primavera.
Consigliato da Angelo Vecchi
Claudio Macchi, La Bella primavera. Antifascisti e partigiani varesini che lottarono e morirono per la libertà di tutti, Varese, Pietro Macchione Editore, 2022