Giuseppe Biscardini (1910 – 1987), tenente di complemento degli Alpini, l’8 settembre del 1943 era di stanza ad Antibes, sulla Costa Azzurra. Di fronte alla richiesta di consegna delle armi da parte tedesca, “il Generale Comandante della 223° Divisione Costiera De Cia (che si dimostrerà da subito collaborazionista con la Wehrmacht e che in seguito aderirà alla Repubblica Sociale) dà l’ordine al nostro Maggiore di evitare sparatorie con i tedeschi, spargimento di sangue e di cedere quindi le armi”.
Arrestato dai tedeschi e, con gli altri ufficiali, dopo un mese di segregazione, l’8 ottobre inizia il lungo viaggio che lo porta nei luoghi di prigionia degli IMI (Stammlager e Offizierlager) polacchi di Tarnapol e Siedlce e successivamente tedeschi di Sandbostel e Wietzendorf, per concludere la sua prigionia come lavoratore coatto in una fattoria agricola nei pressi di Cloppenburg, non lontano dal confine olandese. Liberato il 13 aprile 1945, sceglierà con altri ex prigionieri italiani, per evitare di esser trasferito in Inghilterra dalle truppe alleate, di intraprendere di propria iniziativa il lungo viaggio di ritorno. Varcherà il confine italiano il 5 luglio per poi raggiungere Legnano ed abbracciare dopo 21 mesi la moglie e il figlioletto (“L’avevo lasciato in fasce e me lo trovo ora già un ometto”).
Un diario, questo, scritto su di un quadernetto durante la stessa prigionia, perlopiù a matita con una calligrafia minuta per sfruttare al massimo la poca carta a disposizione. Scrittura essenziale, cronachistica e che, proprio per questo, ci immette dentro la condizione degli internati militari che, rifiutando le reiterate richieste di adesione alla Repubblica Sociale che avrebbe loro permesso di ritornare in patria, resistettero di fronte a condizioni di vita al limite della sussistenza e alle decimazioni provocate da fame, freddo, intemperie, malattie, epidemie di tifo petecchiale, torture e uccisioni gratuite. Condizione questa dei militari italiani, differentemente da quelli alleati, non riconosciuti come prigionieri di guerra e, nella gerarchia dei lager nazisti, collocati solo di poco al di sopra di quelli destinati agli zingari e ai sovietici. Non manca comunque qualche momento di alleggerimento come quando, nel campo di Sandbostel
“Qualche volta lo scrittore Giovanni Guareschi e l’attore Tedeschi si cimentano in piccoli spettacoli. Per qualche ora riusciamo a dimenticare la vita del lager. Guareschi legge alcuni suoi scritti umoristici, mentre Tedeschi fa la parodia dei discorsi più famosi di Hitler. … tutti ridono, comprese le sentinelle tedesche, anche se per fortuna non capiscono”.
Questa edizione arricchisce quella precedente del 1986 con una prefazione del figlio Roberto che ricostruisce la storia del diario accompagnata dal ricordo del padre, una bella e utile introduzione dello storico Marco Cuzzi (“In Barba al Führer: la Resistenza deli internati militari in Germania) e delle schede sulle località e sulle peculiarità e condizioni dei lager in cui Biscardini ha consumato la sua prigionia. Come nella prima edizione il testo si conclude con alcune pagine di fotografie, perlopiù scattare nel campo di Sandbostel.
Consigliato da Flavia Filippi e Gianmaria Ottolini
Giuseppe Biscardini, Gefangenennummer: 42872. Diario di prigionia, Milano, Biblion edizioni, 2015.